La cucina di Nicola Batavia: 25 anni di Birichin

di Alice

Ultima Modifica: 23/01/2019

Compie 25 anni il Birichin, ristorante torinese gestito dallo chef Nicola Batavia insieme a sua madre e alla sua brigata.

Ci vediamo alle otto e mezza al Birichin, via Vincenzo Monti 16, Torino e sono 25 anni che ci diamo lo stesso appuntamento. Indirizzo, proprietà e famiglia non sono cambiati e fuori ad aspettarti trovi sempre la stessa insegna che ritrae il bimbo che era lo chef. Dentro, però, le cose cambiano e si evolvono da allora e 25 anni non sono pochi, per un ristorante. Anzi, per due: la cucina è una, ma i piatti arrivano anche ai tavoli del The Egg, un progetto nato esattamente il 19 marzo – giorno della Festa del papà – di 4 anni fa, dedicato a Vittorio, il figlio dello chef, dove si mangiano magnifici cicchetti (tapas) come focacce, formaggi e salumi con un tocco gourmet da non perdersi.

Nella cucina del ristorante ‘l Birichin e del bistrò The Egg ci sono lo chef Nicola Batavia e quattro della sua brigata, giovanissimi e lunghi lunghi. Lo chef con la giacca, i ragazzi con i pantaloni morbidi, i grembiuli e i cappelli. Ognuno con uno strofinaccio appeso al laccio o alla tasca. I ragazzi puliscono e preparano gli ingredienti, lo chef li cucina, sceglie il piatto, inizia la composizione, i ragazzi la finiscono, lo chef controlla, il piatto esce. In questa cucina funziona così da un quarto di secolo.

Birichin brigata Nicola Batavia
Si muovono svelti e senza far rumore, qualche chiacchiera inizia quando il lavoro ingrana e si lasciano osservare facendo finta che tu non sia lì ma stando attenti a non urtarti. Anche i clienti ne approfittano per guardarli. Li spiano dalla sala da pranzo sulla quale la cucina, protetta da un vetro, si affaccia. Gli chef sono come su un palco, il vetro riflette la luce e impedisce di vedere i tavoli come i fari nascondono il pubblico al cantante sul palcoscenico.

Iniziano a uscire i primi piatti. Il Maitre sempre allegro li serve ai tavoli dove iridi si dilatano, salivazioni aumentano, sorrisi si espandono e le bocche si fanno a culo di gallina per dire uuuh. L’ossobuco con polenta di riso, peperone crusco e cime di rapa croccanti sembra una città con palazzi, alberi e tutto il resto. Il vitello tonnato pare un pianeta dai mille colori. Le involtino con taccole e girasoli navigano a bordo di una melanzana grigliata su un mare di ristretto. La precisione non è mai troppa ma proprio mai e non solo per l’impiattamento.
I tempi di cottura sono calcolati al secondo e tutti li azzeccano ma non si sa come, dato che nessuno porta un orologio da polso e sempre nessuno si volta a guardare quello appeso al muro. E nessuno si chiama Nessuno. C’è un Jonny, invece, che è il più giovane della brigata e non vuole essere cucinato come un maialino al forno. Poi c’è chi si prende uno scappellotto perché ha risposto senza accendere il cervello. Si ridacchia e si parla su padelle e casseruole e pure l’arrosto ti sorride dal pentolone, ma solo perché non sa che presto sarà servito sul uno spiedino.
Poi c’è Massimiliano Sticca che fotografa tutto e non lascia che sfugga neanche un dettaglio. Un’esplosione di colori che arriva davvero così, a tavola.

Verso le tre del pomeriggio il primo sguardo di speranza si alza e si riabbassa sul fornello che spara la fiamma altissima e copre il gorgoglio delle pance vuote che sentono profumo di cibo dalle dieci del mattino. Ragazzi, se la guardi troppo, l’acqua non bolle mai neanche nella cucina di uno chef. Ci sarebbe da spiluccare per una settimana, ma nessuno si azzarda a nient’altro che assaggi di controllo.
Un po’ anche perché c’è lo chef che non abbandona mai il campo, che sembra disinteressato ma ascolta tutto e risponde a tutti in ordine cronologico e/o di urgenza mentre sceglie il vino assieme al mêtre, che annuncia con nonchalance un catering per 80 persone senza preavviso e, no, non sta affatto scherzando, che si assicura che sua madre, la Signora Maria, non si affatichi troppo mentre prepara i suoi inimitabili tajarin al ragù di vitello, i grissini e il pane per il ristorante. Mamma Maria è il pilastro.

Alla fine si arriva alla fine. Si aprono le finestre per far circolare l’aria e, in un quarto d’ora, quattro ragazzi hanno ripulito la cucina da cima a fondo e stanno scappando verso casa veloci come dei fulmini. Anche perché la gente mangia due volte al giorno e tra un paio di ore saranno di nuovo in servizio per la cena.

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L'Autore

Web Editor. Scopro l'Italia un ingrediente alla volta. Seguo gli chef in cucina e mi faccio raccontare tutti i loro segreti!