Luigi Pomata

di Patrizia

Ultima Modifica: 23/01/2019

Luigi Pomata è un figlio d’arte, il padre Nicola ha aperto quello che è ora uno dei ristoranti di Luigi: il ristorante da Nicolo di Carloforte, a cui recentemente ha affiancato il ristorante Luigi Pomata di Cagliari e il bistrot Next, sempre a Cagliari.

Luigi Pomata, cosa vuol dire essere cuoco per te?

Essere cuoco per me non è stata una scelta, è stato il risultato della voglia di esserlo (oltre che essere una tradizione di famiglia da tre generazioni), è una cosa che faccio per passione, ovviamente la passione è diventata anche un business, ma è un aspetto per me secondario, la mia motivazione è quella di avere un cliente soddisfatto, un cliente che diventi un amico.

Io vedo il mio ristorante come casa mia, una casa che apro ai miei ospiti. E ai miei ospiti do il massimo della qualità, il massimo della materia prima, e lavoro in modo che prima di tutto io e i miei ragazzi siamo soddisfatti, solo così poi anche il cliente sarà soddisfatto.

Se avessi voluto fare business, avrei fatto tutt’altro.

Essere cuoco mi ha portato a girare il mondo, perché è necessario confrontarsi sempre con tutte le realtà possibili, dal cibo di strada al grande ristorante; nel nostro lavoro la cultura è fondamentale.

Qual è il tuo ingrediente del cuore?

Venendo da Carloforte il mio ingrediente del cuore è il tonno.

Il tonno perché nella storia è ciò che ha permesso a Carloforte di sopravvivere, è infatti grazie alle tonnare che a Carloforte non si moriva di fame. La tonnara serviva a fare il tonno salato, sott’olio, le bottarghe: tutto ciò che permetteva di vivere durante l’inverno.

Tuttora la tonnara di Carloforte è l’unica che fa pesca equo-sostenibile: si pesca esclusivamente per un periodo di un mese e mezzo all’anno.

E il tuo ingrediente segreto?

Le erbe aromatiche.

Sono loro che danno quel tocco magico ai piatti. In un mondo alimentare sopraffatto da edulcoranti, coloranti e additivi vari, le erbe aromatiche ti permettono di dare quella sfumatura in più al piatto, quella salinità, quel sapore particolare che rimane in mente.

Per esempio in una semplice pasta al pomodoro e basilico, se invece di mettere la foglia si mettono in infusione i gambi della piantina con dell’olio e si utilizzano i fiori del basilico, si ottiene un tocco unico di profumo e di freschezza.

Il tuo viaggio dei sapori in Italia è…

Il bello dell’Italia gastronomica è la diversità che abbiamo, e non da regione a regione, ma da paese a paese: noi ci troviamo in un calderone gastronomico che ci invidia tutto il mondo, ma che siamo i primi a non considerare.

Un viaggio nell’ Italia dei sapori è una esperienza che tutti dovrebbero fare, per capire cosa vuol dire identità italiana e cosa vuol dire prodotti e materia prima.

Come hai scelto i luoghi dei tuoi ristoranti?

I miei luoghi sono due. Uno è Carloforte ed è il luogo affettivo dove il mio ristorante si trova da 3 generazioni.

L’atro è Cagliari che ho scelto perché volevo confrontarmi con una città, non più un paese che lavorava stagionalmente, ma con una realtà da cinquecentomila abitanti, per poter offrire la mia cucina ad un pubblico più ampio.

Cos’è per te la cucina?

È quella cosa in cui prima ci metti il cuore e poi usi la testa.

Io dico sempre che se un piatto non va bene è inutile che lo modifichi o cerchi di aggiustarlo.

Poi la cucina è anche divulgazione perché in questo modo trasmettiamo le nostre esperienze, trasmettiamo la nostra cultura. In fin dei conti con la cucina si sono uniti i mondi.

Qual è lo stile dei tuoi ristoranti?

Mi piace lo stile minimal, piatti con 3 massimo 4 ingredienti, perché in una preparazione devi sentire tutti i componenti che ci sono nel piatto, con le varie emozioni gustative.

Lo stile è quello dell’accoglienza, voglio che il cliente si senta a casa, non voglio un ambiente ingessato o formale, e soprattutto voglio che il protagonista sia ciò che è dentro il piatto.

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